E’ mia!

Ieri a Torre Veneri, zona di sicuro valore naturalistico, siamo stati guidati dagli ufficiali responsabili del Poligono di Tiro in una breve visita guidata della zona militare.
Scrivi una recensione recensione

Immaginavo di varcare un cancello, oltrepassare un muro, aggirare una rete metallica. Ieri a Torre Veneri, zona di sicuro valore naturalistico, siamo stati guidati dagli ufficiali responsabili del Poligono di Tiro in una breve visita guidata della zona militare. Breve perchè non piove da due mesi ma ieri, sì. Pensavo di trovare una rete un filo spinato e, invece, a delimitare la zona di interesse militare da quella che possiamo liberamente percorrere, è un cordone di immondizia. Direi lungo cinquecento metri: dalla riva, dove il mare ci restituisce parte degli escrementi del nostro stile di vita, ai primi stagni e lagune. Torre Veneri, circa tre chilometri di costa dalla darsena di San Cataldo al rudere, è un ininterrotto susseguirsi di stagni e lagune, una zona palustre dove di casa sono gli aironi le garzette i  cavalieri d’Italia, ben celati alla vista dal sipario orizzontale del lino delle fate, una pianta che stupisce per i suoi colori, il riassunto di tutti i timbri del verde, e per la sua forma: una chioma immensa di sottili lunghissimi steli coricati su di un lato. Una immagine che risale dalla vertigini dei tempi e che possiamo osservare noi oggi allo stesso modo di come avrebbero potuto i dinosauri, prima di ogni prima.  Un posto di concentrata bellezza, protetto, senza volerlo in modo intenzionale, dalle Forze Armate. La sua condizione di area di esercitazione per i carrististi, l’unico sito a livello nazionale, lo ha protetto. Ma da chi? Da noi, da me. L’area di violenza, dove la vedi esercitata in tutta la sua ferocia sta prima. Nella fascia dunale e nella pineta che la precede. Lì, dentro lo spazio militare, è bellezza. Le esercitazioni rappresentano oggi una piccola parte della formazione di questi soldati specializzati. Il resto avviene in simulazione, nello spazio virtuale. I militari sono responsabili del loro sito; quando lo usano viene immediatamente bonificato, pulito. Hanno nomi e cognomi questi custodi vestiti in tuta mimetica. Forse per questo qui tutto si riesce a gestire. Ci sono funzioni e ci sono responsabilità e qualcuno che verifica e controlla.  I loro cognomi erano ricamati, a chiare lettere, sulla divisa.

I nostri, no. Eravamo un gruppo, una cinquantina di volti senza nome, tranne quello di Carlo Salvemini, Stefania Mangia, l’architetto Bertazzi. A cui sento di dovere dire ancora grazie per queste occasioni concrete di assunzione di responsabilità che ci stanno offrendo attraverso la conoscenza e l’esplorazione del territorio, l’esperienza personale delle sue criticità.

Facciamo spallucce o emettiamo un giudizio di biasimo quando vediamo qualcuno buttare la carta o la cicca per terra. Io, per prima. Sto zitta. Per vigliaccheria: ho paura che quello o quella mi si possa rivolgere contro. Per vergogna: temo di essere giudicata esagerata se vado a riprendere la persona che ha sporcato. Come lo guarderei se lo facesse a casa mia; e poi, si permetterebbe di farlo? No. Si rispetta chi ci ospita.

La cinta di immondizie che segnala il confine fra  Terra di Nessuno dalla Terra di Tutti consta di una ricca Schifodiversità in cui sono rappresentati  tantissimi generi merceologici, dal bicchiere al televisore, nulla è stato tralasciato.

Caro Sindaco, cara Giunta, è ora di formarci alla CITTADINANZA. Piccoli brevi corsi di Resistenza alla Barbarie da tenere proprio nella sala del consiglio. Cominciando dalla prima di tutte le barbarie, quella che alberga dentro di me e che non mi fa dire: mi scusi ma questa cicca è sua! Sa, la strada la città il mare la duna, il lino delle fate, è mia!

Proverò a ricamare il mio cognome sulla camicetta. Magari così funziona.

Vota e scrivi una recensione